Giza (Il mistero della civiltà dell’Uomo)

“Ai giovani di tutto il mondo
che lottano intrepidi contro
la globalizzazione delle menti,
la distruzione delle foreste e
lo sterminio degli animali”.

“Essere sabbia e non olio
nell’ingranaggio delle cose del mondo
necessita in questi tempi di conformismo abituale”
(“Di questi tempi”, di Annelen Josten
dalla raccolta di liriche “Sul mio sentiero”)

Trama dell’Opera

Atto I
1^ Scena
Un fotografo tedesco, tale Alfred Hahn, si trova con studiosi sulla piana di Giza a svolgere alcune ricerche sulle Piramidi e sulla Sfinge.
È venuto in Egitto perché vuol capire quanto c’è di vero in certi scritti di alcuni autori, soprattutto anglosassoni, che affermano che quei grandiosi monumenti sono opera di un’altra civiltà, addirittura anteriore a quella egizia di ben 7 millenni.
Discute animatamente di questo problema con il suo amico francese, Bertrand Polimar, e la signorina inglese, Katherine Scott.
L’acceso dialogo va oltre il tempo consentito, per cui i tre non si accorgono che ormai si è fatta sera e i vigilanti hanno già accompagnato tutti i turisti e studiosi fuori dai cancelli, che sono stati chiusi.
Quando giungono alle porte d’uscita non trovano più alcuna persona, ma non si adoperano per richiamare l’attenzione di qualcuno, preferendo rimanere all’interno del comprensorio. Si siedono fra le zampe della Sfinge, continuando a parlare della loro ricerca, non nascondendo una certa apprensione mentre calano le prime ombre.
Mentre si alza la luna, i tre al fine, vinti dalla stanchezza, si addormentano.
A questo punto, o perché trascinati tutti e tre per un fatto straordinario nello stesso sogno, oppure perché stanno vivendo un’esperienza fantastica, vedono che la testa della Sfinge ed una delle due zampe si muovono e sentono una voce cavernosa provenire dall’interno della statua gigantesca.
La Sfinge è molto offesa per quanto si sta raccontando sul suo conto, per cui invita i tre a seguirli indietro nel tempo, affinché essi vedano con i loro occhi quanto è realmente accaduto migliaia di anni prima.
Mentre il tempo scorre veloce verso ere remote, davanti ai loro occhi compare la regina del Nilo Nefertiti, moglie del faraone Ekhenaton, che invoca attenzione verso suo marito, che per primo ha parlato del Dio unico. Ma la Sfinge prosegue il viaggio.

Atto I (segue)

2^ Scena
Il tempo prosegue la sua corsa a ritroso, per fermarsi all’anno 1412 a.C.. E’ notte fonda. I tre studiosi vedono ai piedi della Sfinge un giovane, che indossa un semplice gonnellino che l’avvolge sino alla cintola, scoprendo il petto, con le insegne, però, di un principe reale degli Egizi. Egli dorme di un sonno agitato, con il viso rivolto ad oriente. Sebbene non desto, parla con qualcuno e i tre riescono a comprendere che il suo interlocutore è la stessa Sfinge, alla quale chiede aiuto essendo fuggito di casa per amore di una donna.
Il principe, percepita la presenza di quegli estranei, si sveglia e, alzatosi in piedi dopo aver riacquistato piena coscienza, dichiara di essere il figlio del Faraone Amenofi II, il vincitore dei Mitanni, unico capace a piegare, per la sua straordinaria forza fisica, il suo arco.
Ai tre studiosi, sempre più meravigliati per quanto sta loro accadendo, racconta il suo dramma e ciò che gli ha risposto in sogno la Sfinge.
Il giovane principe narra che si era allontanato dal palazzo paterno per andare a caccia nel deserto, per vincere la sua amarezza avendo appreso che il padre, uomo molto severo, non gli aveva permesso di continuare ad amare una donna, di umili condizioni sociali. Lo aveva minacciato che se non avesse obbedito lo avrebbe diseredato, affidando ad altri il trono dell’Egitto.
Così sfiduciato e depresso era giunto ai piedi della Sfinge, e, preso dalla stanchezza, si era seduto a riposare all’ombra della Statua, in gran parte ricoperta di sabbia.
Addormentatosi, aveva sognato che la Sfinge gli parlava con la sua stessa bocca, come parla un padre ad un figlio. Gli aveva assicurato che egli avrebbe cinto la corona del Basso ed Alto Egitto, purché avesse liberato il suo corpo, malridotto, dalla sabbia del deserto, che la opprimeva. Queste sue parole vengono riprese dai Ginn, spiriti del deserto, che invitano il giovane, che non sa come liberare la Sfinge dalla sabbia con le sue misere forze, a pregare il Dio Unico. Il giovane si getta in ginocchio e prega. D’un tratto egli diventa così possente da liberare con un soffio poderoso la Sfinge dalla sabbia. La grande statua si muove e invita il principe e i tre turisti a seguirla indietro nel tempo sino a conoscere i primi uomini, che partendo dal centro dell’Africa e dall’Etiopia si avventurarono lungo il fiume Nilo, per colonizzare quelle terre.

Atto II

1^ Scena
I Ginn, spiriti del deserto, cantano l’inno al sole del faraone Ekhenaton. Comincia ad albeggiare. I quattro viaggiatori del tempo assistono alla nascita dell’uomo, in una Terra coperta di foreste e di savane. I ghiacciai perenni guizzano bianchi fra le cime aguzze. L’aria fresca del mattino annuncia giornate terse e splendenti. I cieli azzurri si coprono di notte di stelle lucenti, che sembrano cadere a pioggia sul suolo. I mari levigano le rocce, preparando spiagge di sabbia fine.
E l’Uomo è nella Natura, e l’Uomo è la Natura. E l’Uomo alza gli occhi verso il cielo per cercare il Creatore.
Si vedono immagini di uomini che escono da una caverna verso un mondo incontaminato, messo a confronto con la realtà confusa e inquinata della città de il Cairo del XXI secolo.
Altri uomini attraversano boschi splendenti e floridi della Foresta nera della Germania, che si seccano e inaridiscono a causa delle piogge acide.
Si intravedono alcuni paesaggi della Francia con grotte e disegni rupestri dipinti da uomini primitivi, che vengono imbruttiti dalla presenza di centrali nucleari.
Poi si scorgono zone desertiche e savane, attraversate da piccoli uomini che, d’un tratto, si trovano in mezzo a guerre, malattie e morti per inedia.

Atto II (segue)

2^ Scena
Dall’alto di un rilievo si vedono alcuni uomini, con donne e poche masserizie, che esultano alla vista del Nilo, che si insinua tortuoso nel deserto. Lungo le sue rive la vegetazione è rigogliosa. Capiscono di essere giunti in una terra dove abbonda ogni tipo di frutto e si accampano, dopo aver rivolto lodi al Creatore.
Da quel nucleo di uomini cresce rigogliosa la civiltà egizia, con città in cui prosperano benessere e felicità e gli abitanti vivono lontani dalle guerre e dalle privazioni.
Appaiono i primi Faraoni: Menes, il Grande unificatore dei due Paesi, il fondatore del primo grande regno del mondo; Geser, il costruttore della prima piramide a gradoni, interamente in pietra; Snefru, che costruì ben tre piramidi, una a Medium e due a Dahsciur, i quali si intrattengono in piacevole conversazione con i visitatori del tempo.
Seguono Cheope e Kefren, che si rivolgono ai loro sudditi per invitarli a costruire le piramidi, che avvicinano l’uomo ad Amon, nei giorni in cui, a causa della piena del Nilo, non possono coltivare i loro campi.
E la piana di Giza si popola di migliaia di Egizi, che come tante formiche, con le loro barche sul Nilo che ha inondato quella piana, trasportano blocchi enormi di pietra, che issano poco per volta sino al completamento della piramide.
La visione, che si presenta ai tre studiosi, è stupefacente e fa comprendere loro che la costruzione di quei grandi monumenti è opera di un popolo di uomini liberi e amanti della pace, rispettosi della natura e delle divinità.
E per incanto, si vede un gruppo di uomini, diretti da formidabili artisti, che scolpiscono nella roccia la Statua della Sfinge, con il corpo di leone e la testa del faraone Cheope.
Appena terminata la scultura, la grande Statua ha un fremito e tutti i presenti si buttano a terra in ginocchio lodando il Creatore e le divinità che lo affiancano per la benevolenza che riversano sugli abitanti della Terra nera, che sta intorno alle rive del Nilo.

Atto III

1^ Scena
Appare una distesa pianeggiante, in cui si fronteggiano i carri da guerra egiziani e degli Ittiti. Alla testa dei guerrieri del Nilo il Faraone Thutmose III, che trascina i suoi uomini in una vittoria travolgente.
Il giovane principe rimane ammirato dalle gesta del nonno e promette alla Sfinge che se avrà gloria nelle battaglie, come il suo antenato, le toglierà di dosso sabbia e polvere e la adorerà come il dio Amon.
La Sfinge si scuote ed alza il velo del tempo, per far vedere al futuro faraone Thutmose IV le grandi battaglie che vincerà per la gloria dell’Egitto. Egli sposerà la principessa Muramuia, figlia del re dei Mitanni Artatama, per cui per la prima volta – vera e propria rivoluzione – una regina straniera siederà sul trono d’Egitto.
Thutmose IV, assicuratasi la tranquillità delle frontiere del nord e un forte stato-cuscinetto fra lui e gli Ittiti, si rivolgerà contro alcune tribù di rivoltosi in Nubia, domandole. A memoria delle sue gesta costruirà un obelisco gigantesco, che adornerà un’altra grande città, Roma, destinata ad ereditare il patrimonio culturale e religioso degli Egizi.

Atto III (segue)

2^ Scena
Ma le immagini del futuro per il giovane Thutmose IV non si fermano alle sue gesta: vanno oltre, per cui appare il suo successore Amenofi III, che costruisce a Tebe Ovest il proprio tempio, di una vastità e ricchezza senza precedenti, di cui rimangono solo le due grandi statue, costituite da monoliti del peso di settecento tonnellate, alte 18 metri, raffiguranti entrambe il faraone stesso, che i Greci chiamarono i Colossi di Memnone.
Costui, evocato dalla Sfinge, compare e dice di essere un re d’Etiopia, figlio di Titone e di Eos (l’Aurora) e di aver portato aiuto al re Priamo nella guerra di Troia. Combattè da valoroso, uccise Archiloco, figlio di Nestore, ma cadde a sua volta sotto la destra dell’invitto Achille.
Ma gli dei decisero di non mandarlo agli Inferi e di trattenerlo sulla Terra, per cui scatenarono un terremoto, che si abbatté nella zona e troncò netta al busto una delle due statue: all’alba da quella fessura cominciò ad uscire un dolce suono, e questa era la voce di Memnone, che invocava la madre Aurora, quando essa lo baciava con i primi raggi del Sole.
Oggi ciò non accade più perché quella Statua è stata incautamente restaurata dall’imperatore romano Settimio Severo e Memnone così è stato trascinato definitivamente nel regno dei morti. Egli si allontana piangendo sconsolatamente.
Ma le sorprese non finiscono qui: appare suo nipote, Amenofi IV, marito di Nefertiti, che tramuterà il suo nome in Ekhnaton e fonderà la religione del dio unico, Aton, che si identifica con il Sole.
Il Faraone conversa con i visitatori del tempo, ai quali riferisce che tutti i popoli a lui sottomessi, ariani, semiti, neri, dovevano avere un dio dell’impero, più alto di tutti gli altri dei nella gerarchia.
I sacerdoti di Eliopoli avevano proposto il vecchio e glorioso Ra, quelli di Menfi l’artefice Ptah, quelli di Tebe Amon.
Ma lui scelse un dio nuovo: Aton, il Sole raggiante nel suo aspetto immateriale, raffigurato come un disco splendente da cui discendono raggi terminanti in mani dispensatrici di vita, un simbolo che doveva essere riconoscibile da tutti, in qualsiasi paese.
Preso da grande devozione religiosa, Ekhnaton scioglie un inno poetico ad Aton, Dio unico per tutti gli uomini, senza alcuna distinzione di razza o di lingua.
Riappare Nefertiti, che proclama a gran voce, sostenuta da una moltitudine di uomini, sorti dalle sabbie del deserto, che, dopo Ekhnaton, passeranno millenni, ma l’idea del Dio unico si imporrà e le religioni monoteiste avvicineranno l’Uomo a Dio, purché siano tolleranti, e chiede il massimo rispetto per ogni forma di vita, che Egli ha creato sulla Terra e nell’intero Universo.

Atto I

1^ Scena
Compare la piana di Giza, in cui una moltitudine di visitatori gira intorno alle Piramidi e alla Sfinge. La studiosa Katherine Scott sta leggendo alcune scritte in caratteri geroglifici.
Un gruppo di egiziani, con i loro caratteristici abiti, i galabyia, intona un canto alla Grande Madre, regina dei deserti.

CORO (femminile)
Umme Dunia – Grande Madre,
Malikat al sahrae – Regina dei deserti
Wa al ahdhab al hagiaria wa al giafa – e delle colline pietrose e brulle
Haythu yulaheq al ankabut al aqrab – dove il ragno insegue lo scorpione.
Tuttamen al qulub – Rasserena i cuori
Turashresh al maae – fai zampillare l’acqua
Min sakhrat mussa – dalla roccia di Mosè
Tanmu al zahrati min al turbati al yabissa – sbocciare la rosa dalla terra rovente
Taltaqi ma al giamie – incontrare le moltitudini
Tahta giabal sinaa al muqadass – sotto il monte sacro del Sinai
Litastalem al vasaia – per ricevere le tavole
Al salam wa al okhuwa – della fratellanza e della pace

Dal gruppo dei visitatori si staccano, insieme a Katherine Scott, altri due turisti, Alfred Hahn e Bertrand Polimar, che discutono animatamente delle più recenti teorie sull’origine delle Piramidi e della Sfinge.

Atto II

1^ Scena

I Ginn, spiriti del deserto, cantano l’inno al sole del faraone Ekhenaton. Comincia ad albeggiare.

GINN
Tutto il bestiame gioisce dell’erba. Alberi e arbusti verdeggiano. Gli uccelli, che sono volati via dai loro nidi, librandosi nel cielo, rendono onore al tuo Ka. Tutti gli animali selvatici saltano.
Tutto ciò che vola e si libra nell’aria vive quando tu sorgi.
I pesci nella corrente guizzano nel vederti. I tuoi raggi raggiungono il profondo del mare.
I quattro viaggiatori del tempo assistono alla nascita dell’uomo, in una Terra coperta di foreste e di savane. I ghiacciai perenni guizzano bianchi fra le cime aguzze. L’aria fresca del mattino annuncia giornate terse e splendenti. I cieli azzurri si coprono di notte di stelle lucenti, che sembrano cadere a pioggia sul suolo. I mari levigano le rocce, preparando spiagge di sabbia fine. E l’Uomo è nella Natura, e l’Uomo è la Natura. E l’Uomo alza gli occhi verso il cielo per cercare il Creatore. Si vedono immagini di uomini che escono da una caverna verso un mondo incontaminato.

Interludio

CORO DI UOMINI PRIMITIVI
Le foreste pervadono la terra, il nostro cammino sarà lungo, ma alla fine domineremo la natura, che ci spaventa con i suoi fulmini, le sue tempeste, terremoti e frane, acque che dilavano tutto, fuochi di vulcani mai spenti. Gli dei sono contro di noi. Non li comprendiamo: prima ci creano, poi ci distruggono, abbandonandoci al male, che è entrato pure nei nostri cuori.

CORO DI DONNE
Dovete aver fede in coloro che ci hanno creato.
Dovete aver fede in voi stessi. Dovete aver fede nella forza che vi anima. Dovete aver fede nella grande idea del bene che sconfigge il male, perché la Natura non è odio e violenza, ma legame delle particelle che ci compongono, amore che pervade il sole e tutte le stelle.

CORO DI UOMINI E DONNE
Cerchiamo chi ci ha creati, fra l’azzurro del cielo che si unisce all’orizzonte al mare, fra gli animali e le piante che popolano la Terra, fra i monti e le valli, fra le colline piene di frutti, fra i corsi dei fiumi che ci danno acqua per le nostre terre. Corriamo appresso alle nuvole che si inseguono nel cielo, spinte dai nuovi venti, che cambiano i tempi. Ci moltiplicheremo, abiteremo ogni luogo della Terra, avremo un solo colore della pelle, parleremo una sola lingua, ci capiremo e ci ameremo tutti.

D’un tratto cambia la scena, gli uomini e le donne fuggono, si scontrano si usano violenze, cadono a terra, muoiono.